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«Il bambino è insieme una speranza e una promessa per l'umanità».
Cosa ha influenzato di più il modello Senza Zaino delle sue esperienze italiane e internazionali?
Quali sono i vantaggi per i bambini e i ragazzi della Scuola senza Zaino?
Che ruolo riveste la tecnologia nelle Scuole Senza Zaino?
«Il bambino è insieme una speranza e una promessa per l'umanità».
È con questa meravigliosa frase di Maria Montessori che vogliamo aprire questo ciclo di riflessioni sul sistema scolastico ed educativo che ci vedrà, di tanto in tanto, discostarci dal nostro ruolo di fornitori di software gestionale per le scuole per abbracciare una visione più profonda del mondo scolastico e dell’educazione in generale.
Questo perché l’organizzazione della scuola prima di passare attraverso aspetti burocratici, contabili, amministrativi, deve porre al centro di sé e del proprio esistere una riflessione sul proprio modello educativo.
Ecco perché siamo stati conquistati da Marco Orsi, ideatore del modello di scuola “Senza Zaino” iniziato a Lucca nel 2002 e presente attualmente in 685 scuole di 308 istituti in Italia.
Marco, com’è nata l’idea di questo movimento innovativo, con una visione e pratiche educative “alternative” al sistema di scuola tradizionale?
Ho lavorato prima come maestro di scuola elementare e poi come dirigente scolastico. Ho insegnato all’Università, e collaborato con diverse riviste pedagogiche. Nel mio lungo percorso professionale ho sempre intuito la necessità di dare un contributo sostanziale nell’intraprendere un percorso di innovazione e cambiamento all’interno della scuola. La scuola è stata la mia scelta.
Il modello Senza Zaino si è ispirato ad alcuni grandi classici della pedagogia come John Dewey e Maria Montessori e ha come punto di partenza la riflessione sull’oggetto zaino, emblema di luoghi inospitali che rimanda a un modello pedagogico improntato all’individualismo e alla standardizzazione.
Oltre ai grandi classici che amavo e che mi hanno in qualche modo aperto la strada a una riflessione profonda, ha giocato anche un ruolo chiave l’apertura a modelli internazionali. Ho avuto modo di visitare diverse scuole, in Finlandia, Scozia, Norvegia, Inghilterra, Portogallo, Stati Uniti, Repubblica Dominicana, Austria e mi sono sempre chiesto se fosse possibile portare qualcosa di innovativo anche in Italia.
Cosa ha influenzato di più il modello Senza Zaino delle sue esperienze italiane e internazionali?
Sicuramente ha influito molto sull’organizzazione dell’ambiente formativo, partendo dal presupposto che dall’allestimento del setting educativo dipendono sia il modello pedagogico-didattico che si intende proporre e adottare, sia il modello relazionale che sta alla base dei rapporti tra gli attori scolastici: gli elementi di diversa natura che intervengono a scuola si intrecciano gli uni negli altri, perché è l’esperienza scolastica nel suo complesso ad essere formativa ed è dunque necessario progettarla nella sua globalità, senza lasciare niente al caso.
Per esempio, molti anni fa visitai una scuola in Scozia che era senza pareti. I bambini si trovavano in una grande superficie definita dal mobilio e in questa disposizione di spazi imparavano a usare la voce senza disturbare, sapevano stare in silenzio o parlare sottovoce. Per favorire questa impostazione negli anni abbiamo avuto molti consulenti che hanno lavorato come insegnanti all’estero, in particolare in Germania e Inghilterra e che nel tempo ci hanno aiutato a riconfigurare gli spazi.
Lo spazio della scuola Senza Zaino è strutturato in aree di lavoro, non ci sono file di banchi davanti alla cattedra.
A dire il vero questi modelli sono già presenti nella pedagogia classica, basti pensare a Maria Montessori ma non solo; di fatto però non vengono applicati se non da alcune realtà isolate. La differenza è che il movimento scuola senza zaino cerca di applicare questo sistema su scala nazionale. A oggi lo applicano 685 scuole e 308 istituti in Italia.
Quali sono i vantaggi per i bambini e i ragazzi della Scuola senza Zaino?
Normalmente nella didattica per lo più utilizzata oggi si applicano delle metodologie standardizzate: la classe esegue un compito, lo stesso per tutti in quel momento, in modo individuale. Al contrario, nel movimento di Scuola Senza Zaino abbiamo adottato un modello educativo - basato sul cooperative learning, sulla peer education ma anche sulla differentiated instruction (didattiche consolidate a livello internazionale e la cui efficacia è evidenziata anche da riscontri a livello di ricerca scientifica) - che viene sostenuto da un ambiente spaziale coerente.
Lo studente si trova quindi a essere coinvolto in una pluralità di situazioni con opportunità diverse di aggregazione: in grandi gruppi, piccoli gruppi, in coppia o individualmente.
È chiaro che per mettere in pratica questo tipo di impostazione di lavoro sono necessarie delle strutture fisiche ospitali che possano essere dei veri e propri facilitatori della didattica. Funzionano in questo modo anche importanti realtà come la Apple Academy di Napoli che utilizza queste quattro modalità di aggregazione per favorire diverse modalità di interazione tra gli studenti.
Che ruolo riveste la tecnologia nelle Scuole Senza Zaino?
In questi anni di lavoro ci siamo resi contro che una minoranza significativa non aveva gli strumenti oggettuali e culturali per utilizzare il digitale.
È una questione di cittadinanza attiva: tutti devono non solo avere i device (in alcuni casi li abbiamo acquistati con fondi ministeriali e distribuiti alle famiglie che ne avevano necessità), ma tutti devono essere messi nelle condizioni di avere le competenze fondamentali per utilizzarli al meglio.
Oltre a questo, la grande sfida che cerchiamo di portare avanti nel movimento è il trovare il giusto equilibrio tra tattile e digitale, tra la dimensione reale e quella virtuale.
Quando parliamo di digitale non pensiamo al metaverso di Facebook, che esaurisce non solo l’aspetto formativo ma addirittura quello relazionale, ma alla capacità di coniugare la scommessa tecnologica del terzo millennio con le nostre radici: l’antropologia ci insegna che l’uomo si è evoluto grazie all’utilizzo della mano per manipolare il mondo circostante. L’aspetto tattile - e in genere dei sensi - è dunque estremamente fondamentale per la crescita del bambino, e può essere solo arricchito dall’esperienza tecnologica.
Per chiarire come sia importante l’aspetto tattile, oggi spesso sottovalutato, facciamo l’esempio di come si possa insegnare la Storia: attraverso lo studio diretto di libri, oppure grazie alle testimonianze delle persone o dei reperti, andando a visitare i luoghi, o ancora si può insegnare costruendo una linea del tempo dove ogni scompartimento corrisponde a un periodo e, all’interno di ognuno, andiamo a cercare o creare degli oggetti significativi per l’epoca. Impieghiamo quindi anche le mani per imparare la storia, tuttavia troppo spesso la storia si insegna solo sui libri, riducendo una significazione più profonda dell’apprendimento storico.
Alternare le modalità di insegnamento permette quindi di favorire i differenti stili di pensiero degli alunni per facilitare l’apprendimento?
Esatto, si tratta di un approccio che noi utilizziamo da diversi anni, come dicevo, della differentiated instruction, ovvero la differenziazione dell’insegnamento, della pedagogista Carol Ann Tomlinson. Ci si può riferire anche alla teoria delle intelligenze multiple di Howard Gardner. Inoltre, se noi un contenuto lo presentiamo in diverse modalità per esempio visiva, uditiva, tattile riusciamo naturalmente a “entrare” nei canali specifici del singolo bambino o ragazzo e avanziamo una proposta didattica plurima e non unilaterale come succede oggi nella scuola tradizionale.
È la stessa logica che sta alla base dell’impostazione montessoriana, che pone all’attenzione dell’educatore la necessità di sviluppare il potenziale umano specifico di ciascun bambino e di ciascuna bambina, utilizzando anche dei percorsi personalizzati che tengono in considerazione i diversi tempi di maturazione.
Cosa deve fare una scuola per aderire al movimento?
Abbiamo un percorso articolato, durante il quale le scuole vengono accompagnate da vari soggetti: la Direzione Tecnica della Rete, il referente regionale, il DS ed i formatori della Scuola Polo del territorio. Il primo passo è l’invio formale della manifestazione di interesse compilando i moduli presenti sul nostro sito.
Tale invio è solo un primo passo e non impegna all’adesione. Nel momento in cui si avvia l’adesione formale, viene messa in atto una formazione destinata a docenti e dirigenti scolastici mirata ad abbracciare il nostro modello, partendo prima da una riconsiderazione degli spazi e successivamente nelle modalità di realizzazione della didattica che proponiamo.
Marco Orsi
Marco Orsi (Lucca,1955) è ideatore del modello di scuola “Senza Zaino” iniziato a Lucca nel 2002 e presente attualmente in 685 scuole di 308 istituti in Italia. Collabora con diverse riviste pedagogiche in particolare “Difficoltà di Apprendimento” e “Senza Zaino” (Erickson), “la Rivista dell’Istruzione” (Maggioli). È stato maestro di scuola elementare e dirigente scolastico. Laureato in Pedagogia e Scienze Politiche, è dottore di ricerca in Sociologia. Ha insegnato presso l’Università di Pisa e di Firenze, ed è stato membro del gruppo del MIUR per la Mappatura delle metodologie didattiche innovative (2017). Ha partecipato a numerosi scambi internazionali in Finlandia, Scozia, Norvegia, Inghilterra, Portogallo, Stati Uniti, Repubblica Dominicana, Austria. Svolge attività di formazione. La sua ultima pubblicazione è: Uno Zaino troppo pesante, editore Maggioli 2021. Altri volumi Dire Bravo non serve, Mondadori (2017), A scuola Senza Zaino con M. Merotoi, C. Natali, M.B. Orsi, Erickson (2016).